In Italia, negli ultimi decenni – anche a seguito delle trasformazioni tecnico-economico produttive e alla crisi – il lavoro è frantumato, diviso in una molteplicità di “mondi del lavoro”, di tipologie di rapporti (quarantasei sono i tipi di contratti: dai co.co.co ai co.co.pro, alle partite Iva). Un lavoratore su due non è inserito nelle politiche inclusive. A questo quadro si sommano milioni di lavoratori in nero, con rapporto di lavoro non regolare, negli appalti e nei subappalti (fenomeni che si registrano in tutti i settori di attività e che emergono clamorosamente con gli incidenti e infortuni sul lavoro).
Questo mentre la crisi economica spinge sempre più in alto il livello di disoccupazione, che in pochi anni è arrivata alla media del 12,6%. Molto peggio va per i giovani – dai 15 ai 24 anni – che si attestano al 42,9% di disoccupati, di fatto un giovane su due è privo di lavoro e chi ce l’ha, nella maggioranza dei casi, è precario o con contratto a termine.
È evidente che in questa situazione la gran parte dei lavoratori è priva delle tutele a cominciare dal diritto al reintegro al lavoro per licenziamento senza giusta causa, senza giustificato motivo, per rappresaglia politico – sindacale.
È in questo contesto che si colloca il confronto avviato in Parlamento (dopo il passaggio nella Commissione lavoro, ora nell’aula del Senato) per la definizione e approvazione della legge proposta dal Governo (Jobs Act) su vari aspetti del rapporto di lavoro.
Vi sono elementi che peggiorano la situazione: come la non applicazione dell’art.18 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori per i neoassunti con contratti progressivi per 3 anni, senza riduzione o revisione delle attuali 46 categorie di rapporti di lavoro, a cui si andrebbe anzi ad aggiungere la quarantasettesima di “contratto progressivo”! Inoltre la delega al Governo per la ridefinizione della normativa a partire dall’art.18 non contiene – in violazione dell’art.76 della Costituzione –le indicazioni relative ai “…principi e contenuti direttivi…..” a cui il Governo deve attenersi nell’emanare i decreti legislativi.
L’Esecutivo ha imposto l’esame nell’Aula del Senato evitando il confronto con i sindacati e con le parti sociali, come previsto dalla Costituzione.
Vari Gruppi parlamentari hanno presentato oltre 350 emendamenti, proposte di modifica ed integrazioni, del testo approvato dalla Commissione Lavoro.
Essi riguardano diversi punti e hanno l’obiettivo di rendere eguali i diritti dei lavoratori di tutti i settori e luoghi di lavoro, intervenendo sulle tipologie dei rapporti di lavoro (riducendole da 46 a 4-5), e adottando la generalizzazione degli ammortizzatori sociali (cassintegrazione, mobilità, indennità di disoccupazione). In particolare l’articolo 18 non solo non va cancellato, ma bensì esteso a tutti i lavoratori.
Infine, come previsto dall’Accordo sottoscritto da Cgil-Cisl-Uil e Confindustria, occorre tradurre in legge le norme sulle elezioni delle Rappresentanze Sindacali aziendali unitarie e le regole sulla contrattazione.
Da tutto ciò risulta evidente che l’esame in corso in Senato deve portare a modifiche, miglioramenti, integrazioni alla proposta di legge sul lavoro (il Jobs Act) in modo da assicurare diritti e tutele a tutti i lavoratori.
Nell’ambito dell’iter legislativo, considerato che il Governo non l’ha fatto, è opportuno che il Senato consulti i rappresentanti delle parti sociali, al fine di valutare le loro osservazioni e proposte.
L’obiettivo, per tutti, deve essere quello di pervenire all’approvazione di norme sui rapporti di lavoro che garantiscano parità di diritti e di tutele a tutti i lavoratori, in particolare alle nuove generazioni.
È non solo necessario seguire l’andamento dell’esame e delle votazioni in Senato, ma anche discuterne quotidianamente con i lavoratori, i cittadini e organizzare la mobilitazione unitaria per ottenere e conquistare l’equità e l’eguaglianza dei diritti!
Sesto San Giovanni, 25 Settembre 2014
Antonio Pizzinato