Parità di diritti e tutele

RAPPRESENTANZA SINDACALE: LA LEZIONE
 DEI CONSIGLI E IL FUTURO DA COSTRUIRE
Lo scorso 30 gennaio a Lecco, promossa dalla Fondazione Pio Galli,  si è tenuta una Conferenza sull’esperienza dei Consigli di fabbrica e il futuro da costruire. Un dibattito molto interessante e importante al quale hanno partecipato i dirigenti sindacali dei metalmeccanici  di FIM-FIOM-UILM -degli anni 1960-1975/80 – e gli attuali Segretari generali della CGIL – Susanna Camusso –  e della FIOM Franco Landini.
Riproduciamo il testo dell’intervento di Antonio Pizzinato, nel quale si illustrano le esperienze che portarono alle prime elezioni dei Consigli di fabbrica e le lotte e contrattazione sindacale aziendale, nonché le proposte ed iniziative da realizzare per riconquistare la parità di diritti e di tutele per tutti i lavoratori.

Antonio PIZZINATO – Intervento Convegno Lecco, 30 gennaio 2015.

Ringrazio per l’invito.

I primi rapporti con Pio risalgono all’inizio degli anni 50 e la mia formazione sindacale si è sviluppata in gran parte grazie a lui: da lui e con lui ho imparato il modo di condurre le lotte in fabbrica, la vita delle Commissioni Interne, dei Consigli di fabbrica e tanto altro.

Come lui stesso ha ricordato nella sua autobiografia, “Da una parte sola”, avemmo un solo momento di tensione allorché mi chiese di entrare in Segreteria nazionale per poi sostituirlo nell’incarico di segretario generale della FIOM. Io dissi no perchè , testardamente, volevo rimanere a Milano e in Lombardia. Ma la vicenda non ha modificato i nostri rapporti.

Credo, come è stato sottolineato in più interventi, che la sua opera sia stata decisiva per giungere alla costituzione dei Consigli di fabbrica e per conquistare il diritto di assemblea. Gliene dobbiamo essere grati perché senza la sua azione non avremmo fatto passi in avanti sul tema dei diritti e della democrazia sindacale.

Vorrei contribuire alla riflessione sull’esperienza dei Consigli di fabbrica a 45 anni dal loro avvio.

Non fu semplice, vi era una resistenza molto forte, non si voleva il superamento delle Commissioni Interne che, tra le altre cose, erano caratterizzare dai quadri più preparati all’interno della fabbriche ma anche i meno collegati ai vari reparti, in particolare laddove si stava realizzando la trasformazione tecnico produttiva per introdurre il fordismo. Ciò non sempre consentiva di corrispondere all’indispensabile salto di contenuti rivendicativi e forme di lotta.

Vorrei ricordare le prime tre esperienze dei Consigli di fabbrica costituiti in Italia. Il primo fu quello della Pirelli Milano-Bicocca: una realtà che ho conosciuto bene perché, come responsabile della Zona FIOM di Sesto S. Giovanni, seguivo le aziende Breda che erano contigue alla Pirelli.

Nelle loro riunioni i lavoratori dicevano che bisognava cogliere i problemi di tutti i reparti, non di uno soltanto, ma delle diverse realtà produttive e per questo era necessario eleggere in ogni reparto, in ogni turno, nelle varie squadre i delegati. Il confronto non fu semplice, ma per la prima volta in Italia, alla Pirelli – con un accordo con l’azienda – si concorda la costituzione del Consiglio di fabbrica e stabilisce che i delegati vengano eletti su scheda bianca per gruppi omogenei.

La seconda esperienza sui Consigli di fabbrica si realizzò alla Zanussi di Porcia (Pordenone). C’era una vertenza in corso, spesso la delegazione che faceva le trattative, vi erano tensioni, ci si scontrava con i lavoratori riuniti in assemblea, i quali tentavano di spiegare che una cosa è lavorare alle catene di montaggio, un’altra è lavorare alla macchine automatiche. Quindi, dicevano, abbiamo bisogno che alle trattative ci sia chi lavora nei diversi reparti in modo da poter sostenere il confronto con l’azienda ,sulla base delle diverse realtà. E così nacque il Consiglio di fabbrica eletto su scheda bianca, per aree, catene, settori produttivi e che sviluppò la trattativa che portò all’accordo..

Il terzo esempio si riferisce ad un’intera zona, quella di Sesto San Giovanni. Non esistevano ancora né la FLM né la Federazione CGIL-CISL-UIL: si stava preparando Firenze 1. Ebbene, si realizzò la grande svolta attraverso l’elezione dei delegati,dei Consigli in tutte le oltre 130 fabbriche, per gruppi omogenei, su scheda bianca. Si arrivò a eleggere 1.230 delegati che elaboravano le piattaforme, organizzavano forme di lotta molto articolate e, contemporaneamente, sviluppavano l’esigenza di obiettivi più generali.

Quale fu il salto? Nel momento in cui si fece l’assemblea unitaria di tutti i delegati della zona, quell’ assemblea si concluse con la decisione di costituire il SUM, Sindacato Unitario Metalmeccanici di Sesto S. Giovanni, dotandolo di un proprio organismo dirigente e di un Esecutivo formato dai rappresentanti dei principali Consigli di fabbrica. Dopo la riunione, alla quale aveva partecipato Bruno Trentin, in corteo ci si recò ad inaugurare la seda unitaria del SUM.

Ma cosa determinarono queste tre prime esperienze?

C’era il problema di sviluppare la democrazia, il problema della partecipazione: ma la democrazia e la partecipazione si dovevano sviluppare come elemento fondamentale per definire i contenuti rivendicativi. La critica era alle piattaforme, le quali non rispondevano ai problemi nuovi determinati dal cambiamento-tecnico produttivo – di carattere storico in corso: cioè dal fordismo.

Ad esempio All’Alfa Romeo si era fatto un accordo, ma gli operai continuavano a scioperare. Chi trattava non aveva la conoscenza diretta dei problemi di sicurezza, dei ritmi di lavoro, cioè non riusciva a cogliere i problemi derivanti dal fordismo. Realizzare la sicurezza sul lavoro… Penso alle 12 morti avvenute alla Falck in quegli anni. Ambiente di lavoro, nocività: vorrei ricordare 130 di sciopero alla Breda, con un indagine sanitaria che portò all’accordo e la costituzione del primo SMAL, servizio di medicina sugli ambienti di lavoro (poi esteso con Legge regionale della Lombardia, quindi – dopo un decennio – entrato nel Servizio sanitario nazionale).

C’era l’esigenza di rispondere a condizioni di lavoro, di organizzazione del lavoro, di inquadramenti professionali. E’ questo che fece compiere una svolta. Non a caso, firmato il contratto del 1966, anche se con limitati risultati, si aprì un movimento di rivendicazione che colse queste necessità. Quindi la conquista dei Consigli dei delegati significò innovare i contenuti, cogliere il cambiamento, essere protagonisti e conquistare la democrazia sui luoghi di lavoro, con quel che ne conseguì.

Prima Morese, nel suo intervento, ricordava la rivendicazione degli aumenti uguali per tutti. Ebbene, quelli del SUM di Sesto San Giovanni indirono un referendum, voto segreto su scheda, fra i lavoratori. L’80% di loro, in gran parte operai Falck, Breda, Magneti Marelli, Ercole Marelli, ecc. votò contro l’aumento uguale per tutti. Non a caso, a Milano, conquistato il rinnovo del contratto vi fu la vertenza degli impiegati che scioperavano da soli sino a quando non ottennero degli accordi aziendali dedicati esclusivamente agli impiegati.

Quindi la democrazia e la partecipazione significano anche questo salto, oggi, di fronte ad una realtà di nuovo radicalmente mutata, dove non c’è un mondo del lavoro ma un’infinità di mondi del lavoro, e vi è chi, a cominciare dal Governo, opera demolire le conquiste realizzate fin daglia anni ‘60.

Anche qui vorrei fare un esempio di una “piccola” azienda, Fincantieri di Monfalcone, sono oltre 8000 mila lavoratori e più della meta non sono dipendenti della Fincantieri ma di aziende appaltatrici e subappaltatrici; il contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici si applica per meno della metà del totale dei lavoratori: nel Consiglio di fabbrica sono rappresentati solo la metà dei lavoratori.

Stiamo parlando di 4.000 dipendenti Fincantieri e 4.000 delle aziende appaltatrici e subappaltatrici che invece non sono rappresentati. È chiaro che non basta dirlo, è da 20 anni che sosteniamo che ci vuole il contratto nazionale dell’industria e una contrattazione di secondo livello che risponda a queste questioni. Senza la partecipazione, la democrazia di coloro che sono i protagonisti non si fa questo salto. Io credo che questo sia un problema a cui si deve rispondere.

Come rispondere?

C è l’accordo confederale sulle rappresentanze – RSU- ; è importante , ma se non si prevede che in un luogo di lavoro si elegge, da parte di tutti i lavoratori che vi lavorano, la rappresentanza sindacale unitaria di tutti i lavoratori, non compiamo il mutamento che è necessario. C’è anche la mia firma sui contratti unici nei vari settori del pubblico impiego (anni ’80). Si è faticato per fare il contratto unico della sanità, per comprendere dai medici agli addetti alle pulizie. Ma se si va a controllare, dagli addetti alle pulizie, alla ristorazione, agli addetti ai pronti soccorsi non si applica quel contratto, perché si fanno contratti a termine o precari , in appalto o in sub appalto e si nega -agli stessi- l’elezione della rappresentanza come prevista dalla legge del 1999. Ma qui la legge si applica solo per quelli che sono dipendenti e non per tutti gli altri e qui mi collego a un secondo problema.

Nel ‘99 ero al Governo ed al Senato. Si è sviluppata l’iniziativa legislativa riguardante la rappresentanza sindacale per il pubblico impiego, si è fatto un buon lavoro. Poi si è proseguito alla Camera dei deputati l’esame della proposta di legge sulle RSU nelle aziende private. Nel luglio del 1999, dopo aver approvato 9 dei 12 articoli la proposta si fermò. Siccome vi era stata una crisi di Governo (Prodi) e la maggioranza (del Governo D’Alema) si era ridotta , (un numero di deputati che stanno sulle dita di una mano ) vi fù chi richiese che la legge tornasse in Commissione. Quella legge, con già approvati 9 articoli su 12, si riferiva alla rappresentanza -RSU- e alle regole della contrattazione ecc., non è mai più tornata all’esame dell’aula. Fatto che fece arrabbiare il presidente del consiglio, appunto Massimo D’Alema, perché voleva che si andasse avanti ma bastarono pochissimi deputati ad impedirlo. Come mai non si è più ripreso questo esame della legge sulle RSU nonostante si sia vissuto drammaticamente in questo ultimo decennio il dramma della crisi della democrazia e della partecipazione?

Allora io ritengo che occorra compiere una riflessione profonda, tipo quella che il Sindacato, la CGIL, fece nel ‘54/’55 dopo le sconfitta alla FIAT, sulla partecipazione e la democrazia e che portò al grande cambiamento della strategia. Oggi si devono compiere scelte come: l’applicazione del contratto nazionale a tutti i lavoratori (dipendenti o di appalti) che lavorano nella stessa azienda, eleggere la rappresentanza unitaria -RSU- di tutti i lavoratori che lavorano in quella azienda, siano dipendenti o siano in appalto e precari in modo che vi sia la rappresentanza generale.

Poi, anzichè avere oltre 360 contratti nazionali, occorre accorparli per arrivare ad una quindicina. Realizzare due livelli di contrattazione, con una rappresentanza che ritorni alle esperienze degli anni 60/70, e ci siano tutti le aree, le varie professioni, i vari turni e che metta in condizioni di ricostruire pazientemente come abbiamo fatto in quegli anni un percorso di scelte strategiche e andando alla battaglia che è necessaria, perché la demolizione dei diritti avvenuta negli ultimi decenni. Io non la ricordo, una demolizione del genere, pur avendo cominciato a far militanza sindacale negli anni 40.

Questa è la svolta da compiere. Occorre riflettere sull’esperienza di ieri fino ad oggi. Se si vuol fermare l’arretramento, occorre invertire la tendenza e ripartire per ricostruire la parità dei diritti facendo scelte strategiche sul piano dei contenuti e delle modalità e la stessa cosa per quanto riguarda la rappresentanza e le regole della contrattazione, approvando una legge. E bisogna fare come si è fatto a partire dal ‘52 con il percorso verso lo Statuto dei Lavoratori: non si è mollato malgrado avessimo problemi seri.

Ricordiamoci che, quando il Parlamento approva per la prima volta lo Statuto dei Lavoratori, dopo 16 ore avviene la strage di piazza Fontana, come ricordava Benvenuto. Allora vi era chi ci diceva che non potevamo essere cosi matti a fare lo sciopero generale: discutemmo nel sindacato per 3 giorni e due notti, alla fine decidemmo e si fece lo sciopero ,partecipando al funerale delle vittime. Fu una grande manifestazione, senza striscioni, senza manifesti, uniti per difendere la democrazia e andare avanti.

Non era semplice, ma allora i metalmeccanici, che stavano combattendo la lotta per il rinnovo del contratto, dissero a tutti ( non sto qui a dire chi ci faceva pressione perché non facessimo quella scelte) risposero non solo allo stragismo fascista ma indicarono anche una linea di sviluppo sul piano dei contenuti rivendicativi, sul piano dei rapporti con lo Stato e con il Governo che portò alla approvazione dello Statuto dei Lavoratori.

Dobbiamo riflettere su tutto ciò. Ma nel frattempo non possiamo andare avanti a discutere. Il fatto che la legge sulle RSU, fosse quasi approvata nel ‘99, non sia più stata messa all’ordine del giorno in nessuna Seduta del Parlamento, la dice lunga circa anche l’incisività nell’ operare nei confronti delle Istituzioni per realizzare quegli obiettivi che sono fondamentali per la democrazia, per la partecipazione e per impedire che ci sia la demolizione del sindacato.

 

 

22 – 2 – 2015